La voce delle emozioni

Dovremmo dare voce e legittimare le emozioni. Quelle di tutti, adulti, ragazzi e bambini.

E dovremmo cercare di farlo cogliendo l’occasione del rientro dalla pausa estiva e la ripresa delle attività scolastiche, nonché lavorative.

Scolastiche non vuol dire che ci si occupa solo dei ragazzi e dei bambini. Ci sono le insegnanti, gli operatori, i genitori e i nonni. Quindi la riapertura delle scuole rappresenta una ripresa di attività che ci coinvolge senza limiti di età.

Come psicoterapeuta in questi mesi ho lavorato con tutti, con i genitori e adulti in studio e con i minori nel mio studio a cielo aperto, il maneggio di Cascina Rongarina dove abbiamo lavorato sulla modulazione emotiva attraverso le attività terapeutiche, che come psicologi, abbiamo strutturato con i nostri cavalli; a volte, attività che coinvolgevano sia genitori che figli per trovare nuovi equilibri emotivi e relazionali.

Sicuramente come ha indicato il nostro Presidente CNOP, Dott. David Lazzari, in un articolo sul Corriere della Sera (https://d66rp9rxjwtwy.cloudfront.net/wp-content/uploads/2020/09/20200914_CORRIERE_edRoma_Cnop-2_page-0001.jpg?fbclid=IwAR33hJt2EAwdLtJurhf04_nZyVuUtnodS5d7btQwTtqk6g5mzQ_o27b9Rro) abbiamo a che fare con un rientro a scuola molto particolare, perché la situazione vissuta durante il periodo del lockdown è stata unica. Tutti abbiamo dovuto sospendere (alcuni per tre mesi) le nostre attività e ci siamo ritrovati a contatto con temi quali la malattia e la morte, con rimandi quotidiani, nell’incertezza e senza conoscenze precedenti a cui riferirsi.

Ora…la ripresa, che vede sia gli alunni che gli insegnanti impegnati a cercare modi diversi di ritrovarsi. Perché al di là dei discorsi sui materiali, sulle procedure, si è davvero dato poco risalto allo “spazio relazionale” che la scuola rappresenta, dove relazioni e vissuti emotivi si intrecciano al di là dei contenuti curricolari, ma altrettanto importanti nella formazione delle future figure di adulti.

Perché sì, la scuola ha un ruolo importante per lo sviluppo emotivo dei bambini e dei ragazzi. È il tempo più prolungato di contatti e delle relazioni al di fuori dell’ambito familiare.

Forse davvero è stato dato troppo spazio agli oggetti e non ai soggetti, ai banchi, agli autobus o pulmini, invece che alle persone.

Come indicato nell’articolo sopra citato, 8 ragazzi su 10 mostrano problemi di concentrazione, e 4 su 10 ha sviluppato problemi di ansia. In più il 34% della popolazione mostrerebbe un livello di stress di 10-15 punti superiore alla media normale.

Questo vuol dire che sia i ragazzi che gli insegnanti che rientrano in questi giorni a scuola rappresentano uno spaccato della popolazione (e della realtà che ci troviamo di fronte) fortemente stressato e nei confronti della quale chiediamo di affrontare una situazione molto complicata, difficile e complessa.

Quindi al di là di garantire i consueti programmi e processi di apprendimento, dovremmo preoccuparci di farci carico delle ansie e paure che si sono strutturate relativamente al contagio e a come affrontare le dinamiche relazionali ed emotive.

Gli psicologi sarebbero necessari in questa fase, magari inseriti nelle scuole…..magari come consulenti…..magari…..

Questo momento richiederebbe la capacità di accogliere i disagi e di offrire un tipo di ascolto attivo, inteso come la capacità di saper ascoltare con un elevato grado di attenzione e partecipazione comunicativa, perché se non ascoltiamo i disagi che i ragazzi porteranno, difficilmente riusciremo ad offrire quel supporto necessario a favorire lo sviluppo di equilibri diversi dai precedenti e molto delicati.

Dovremmo favorire un vero clima di collaborazione ed alleanza, perché solo con la cooperazione si possono stimolare comportamenti virtuosi che non dipendono solo dall’applicazione di regole e procedure, ma che vengono favoriti e stimolati da come viene percepita la realtà dei vissuti. È il dialogo sostenuto dall’ascolto attivo che favorisce l’espressione dei contenuti emotivi e ne rappresenta il fulcro, a cui dovremmo tutti riferirci come adulti.

Il nostro compito ora più che mai dovrebbe essere rivolto al rispetto e al sostegno delle nuove generazioni, perché la forza del futuro e di ciò che verrà sta proprio lì….

I focolai probabilmente ci saranno, ma la paura va affrontata con un atteggiamento di prudenza e responsabilità.

Lo stigma dell’asintomaticità va gestito perché crea un forte stress psicologico, diverso ma non tanto più lieve della paura del contagio, perché i bambini e i ragazzi hanno capito benissimo di essere il vettore, il mezzo (anche se non l’unico) che può creare problemi e contagio a genitori e nonni.

La scuola va riaperta perché rappresenta il tessuto che crea e sostiene le connessioni della nostra società, ed è proprio questo tessuto connettivo della società che ci spaventa perché ci fa sentire più esposti al contagio in questo momento. Ma nonostante i rischi dobbiamo considerare il bisogno che sta alla base della socializzazione oltre che dell’istruzione. E dovremo trovare soluzioni flessibili, perché sì qualche contagio ci sarà e se saremo bravi e prudenti argineremo subito il problema e magari per un periodo useremo una didattica mista, ridotta, intermittente o altro. Ma dobbiamo tenere ben presente tanto l’aspetto del “pericolo” quanto quello della “necessità”, del bisogno di relazione condivisa.

Per essere efficienti dovremmo riuscire a combinare i protocolli e la gestione delle infrastrutture con l’educazione alla responsabilità personale. Efficienti e non in sicurezza, perché quando c’è un’epidemia non si è mai in sicurezza. “Sicurezza” in questo caso è un termine usato in modo improprio, come spesso si fa negli slogan, ma le parole hanno un significato ben preciso e dovremmo ricordarcelo più spesso. Se no creiamo confusione e aumentiamo le incertezze.

La responsabilità personale necessita di una forma e una dimensione mentale che si trova dentro di sè solo se si è disposti ad averla, sia singolarmente che come società, perché se ne riconosce il valore. E sarà lì, in quello spazio mentale che va reso consapevole, che riusciremo a gestire la paura. Paura che ci ha “salvato” nei mesi di marzo e aprile, perché lo stare fermi (io resto a casa) ha impedito di sottovalutare la minaccia, tenuto conto che non conoscevamo la portata di questo invisibile pericolo. Paura che ha trovato qualche forma di confort quest’estate, facendoci riappropriare degli spazi esterni e della possibilità di condividerli. Paura che torna a riaffacciarsi, ma che possiamo gestire perché siamo più consapevoli e più informati. Quindi ci possiamo attrezzare, trovando un equilibrio tra il nostro essere emotivi e il nostro essere razionali. Ricordiamoci che emotività e razionalità ci rappresentano entrambi, e la razionalità serve a calibrare e modulare l’emotività irrazionale. La rabbia e le schermaglie nei confronti di chicchessia e delle varie iniziative non aiutano e dovremmo evitarle. E se non aiutano gli adulti figuriamoci come possano aiutare i bambini e i ragazzi. Per cui abbandonerei l’atteggiamento rabbioso perché la caccia alle streghe ha sempre prodotto solo vittime, ma non ha mai aiutato nessuno.

La paura individuale, se c’è va rispettata e al limite aiutata con empatia e giusta razionalità.

Il concetto di positività asintomatica è particolarmente infido e difficile da gestire ed elaborare. Forse bisognerebbe iniziare a non pubblicare titoloni che creano solo timore nella speranza di essere letti di più. Ci sono pubblicazioni scientifiche che dovrebbero essere rese fruibili per poter contribuire a trovare quell’equilibrio a cui mi riferivo poco sopra. Il rilievo dei positivi asintomatici fa parte di un sistema di monitoraggio che consentirà di tracciare ed intervenire più adeguatamente. Ogni piccola quarantena andrebbe messa in relazione al numero dell’intera popolazione (anche scolastica), senza lasciarla come dato singolo o resa assoluta dai titoli dei giornali, telegiornali o altro.

Dobbiamo anche tenere presente che per necessità di sopravvivenza, il nostro cervello è strutturato per ingigantire e reagire nei confronti delle anomalie, non ragiona in termini statistici.

Siamo singole persone, nella realtà un po’ spaventate, e parte di un sistema più ampio. Dobbiamo trovare il modo di convivere con il rischio, l’incertezza e con la prudenza, il che vuol dire dare “forma” al nostro presente, come singoli, come persone, ma anche come collettività, come tessuto sociale, cercando un equilibrio flessibile fra emotività e razionalità.

In una situazione così complessa e delicata dovremmo promuovere atteggiamenti di alleanza e cooperazione. Perché nessuno si salva da solo, ma tutti possiamo promuovere cambiamenti attraverso la collaborazione e la condivisione di principi volti al rispetto e alla tutela di tutti.

Buona domenica e buon inizio di settimana

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