Il caleidoscopio delle emozioni

Pochi giorni fa abbiamo parlato degli “equilibri” non facili da trovare in modo flessibile. Quindi se l’equilibrio che cerchiamo sta nel “ modo” in cui usiamo questo tempo, rimane vera l’immagine della lente d’ingrandimento, come se dovessimo “ fare una macro”, una messa a fuoco, ma in certi momenti, soprattutto rispetto le informazioni a volte incongruenti e contraddittorie che vengono diffuse senza accortezza, e gli effetti conseguenti sulle nostre emozioni, mi sembra che la ballerina di Bansky del post precedente debba avere in mano anche un caleidoscopio.

Sì proprio un caleidoscopio che non so quanti di voi abbiano presente…gioco un po’ antico, a volte definito poco utile, ma che scatenava grande fascino e meraviglia quando un bambino lo maneggiava per la prima volta (o almeno a me è capito proprio così). Il bambino alle prese con il tubo che, usandolo come un cannocchiale, vedeva al suo interno i riflessi dei frammenti di vetro colorato che generavano immagini e forme geometriche in splendide composizioni che cambiavano ogni volta con la rotazione del tubo.

La parola etimologicamente è una composizione di tre termini che derivano dal greco: “kalós” che significa “bello”, “eidos” cioè “immagine” e scopio da “skopéo” che vuol dire osservare. Quindi osservare belle immagini. Osservare il bello.

E guardando nel caleidoscopio delle nostre emozioni scopriremo sfumature cangianti, più o meno complesse a seconda della raffinatezza con cui entriamo in contatto con il nostro mondo interno, e dell’accortezza del nostro modo di osservare i frammenti delle nostre emozioni. Proprio come in un caleidoscopio “girandolo”, prendendo in mano la situazione, l’immagine ottenuta cambia sempre ed è dai frammenti delle nostre emozioni che cercheremo di far nascere e scoprire qualcosa di bello, grazie alla ricchezza e alla bellezza emotiva che ci appartiene sempre.

Rimanendo sulla metafora del caleidoscopio, possiamo aiutarci con il “pensiero caleidoscopio”, termine usato per la prima volta da Rosabeth Moss Kanter, che consentirebbe, proprio come il caleidoscopio, di vedere da una diversa angolazione la realtà. Approcciarla da un punto (di vista ) diverso, “… non è la realtà che è fissa, ma la nostra visione della realtà… è importante imparare a vedere nuove possibilità”.

In questo preciso momento quello che accade nella nostra vita assomiglia effettivamente un po’ ad un caleidoscopio, in cui improvvisamente l’immagine che stiamo osservando muta forma e colore. Un caleidoscopio che a volte ci sembra complesso e complicato.

L’ordine del nostro universo quotidiano è stato alterato, siamo stati messi di fronte ad evento che ci crea difficoltà anche a ricostruirne il senso. In queste settimane dove si avvicina la comunicazione di come affrontare la “fase 2” siamo tutti in attesa di come sarà possibile riappropriarci del nostro spazio nel mondo, un mondo in cui forse saranno i particolari e i tasselli mancanti a restituirne il valore ed il significato.

É difficile in questo momento mantenere i nervi saldi. Prendendo spunto sempre dalle riflessioni avvenute nelle sedute di psicoterapia con i miei pazienti, la fatica di pensare ad una prospettiva nuova, diversa dalla nostra realtà precedente, anche lavorativa, o personale, assomiglia a quando ci muoviamo al buio a tentoni, da una parte illusioni ed apparenze, dall’altra speranze ed aspettative. Il tutto altalenando tra fiducia e realtà, quella che pian piano viene svelandosi, passo dopo passo cercando equilibrio dentro di noi, perché è solo confidando nella nostra capacità di mantenere un equilibrio interno che ne verremo fuori e troveremo un modo di vivere, un po’ diverso da prima: il modo in cui come funamboli cercheremo equilibrio percorrendo la fune su cui ci troviamo.Ed è per questo che nella mia mente il caleidoscopio si aggiunge alla ballerina sul retro del quadro. Perché in questo momento le informazioni e il tempo sospeso che stiamo vivendo con la prospettiva di qualcosa di non chiaro, anzi di molto incerto, ci stimolerà emozioni molto colorate perché vivide, ma che se sapremo gestirle saranno comunque belle composizioni. Perché in termini emotivi non esistono emozioni giuste o sbagliate, esistono emozioni; il giusto o sbagliato lo attribuiamo solo noi. Ma se provassimo solo a connotarle rispetto alle sensazioni che ci provocano, potremmo aiutarci con il definirle piacevoli, spiacevoli e neutre. Perché è questo che si inizia a fare nei percorsi di Mindfulness, trovare una posizione dove si osserva quello che c’è, quello che si vede, in relazione a quello che si prova, in un determinato momento, senza giudicarci.Per prima cosa possiamo partire “dall’ascoltarci”, prima di ascoltare quanto ci verrà comunicato fra una settimana, perché ascoltarci dentro rappresenterà una base solida dove il resto poggerà, dove dovremo pensare e trovare soluzioni.Per farlo nel modo più appropriato dobbiamo essere attenti, “ prestare attenzione”, a quello che proviamo o pensiamo, in modo non giudicante, secondo una visione più mindfulness.Dobbiamo permetterci di “consolarci” per le nostre vulnerabilità, per le nostre fragilità, come faremmo con un bambino, e perdonarci per le nostre mancanze a noi stessi. Abbracciarci per primi, visto che ci mancano tanto gli abbracci.

Quindi forse più che prepararci per poter controllare, visto che ci si prepara quando si ha di fronte qualcosa di chiaro, dovremmo essere pronti per poter padroneggiare la situazione, proprio perché il momento attuale ha poche certezze, e il futuro sembra poco nitido. Essere pronti ci consentirà di fronteggiare le difficoltà che metteremo a fuoco. Per essere pronti dobbiamo essere molto radicati nel nostro presente, che non ci piace, ma è quello che abbiamo, fatto di tante limitazioni. E la padronanza si costruisce proprio attraverso l’osservazione interna, dentro di noi, delle nostre emozioni. La padronanza che ci consentirà di cogliere, vedere e rimanere in relazione con l’incertezza.

Cercando le emozioni resilienti che ci aiutino a stare ancora un po’ nel tempo dell’attesa, forse abbiamo toccato il nostro grado di tolleranza, forse abbiamo scoperto di essere più tolleranti di quanto pensavamo prima, perché nella necessità non si spreca niente, neanche emotivamente.

Cerchiamo dentro di noi e diamo spazio alla “pazienza”, perché il suo contrario “l’impazienza”, è l’ostacolo più grande allo sviluppo della padronanza. La pazienza, quando diventa la nostra voce interna, ci sussurra con delicatezza di rallentare, per darci la possibilità di trovare lo spazio a quello che troviamo, a quello che c’è in un determinato momento, nel nostro attuale spazio di vita. La pazienza, come emozione da coltivare dentro di noi, ci darà la possibilità di darci la visione delle cose, interne ed esterne a noi, necessarie per essere pronti alla ripresa, al cambiamento. Proprio questo ci farà provare la fiducia in noi stessi, poggiando su una solida base. Avremo così chiaro che la fiducia è la sola cura conosciuta per la paura, e ci consentirà di dare un significato a quello che proviamo, un senso a ciò che accade.

Questo è il “tempo” in cui ci viene chiesto di essere equilibristi, come la ballerina di Bansky, col caleidoscopio in mano.

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